Milano, un abuso tira l’altro. Ma l’inchiesta non ferma gli affari
L’inchiesta sull’urbanistica milanese non ferma gli affari dei costruttori. Anzi. A guardare l’ultimo bilancio della Bluestone di Andrea Bezziccheri (arrestato a luglio e scarcerato prima di ferragosto) vediamo che il conto finale delle famigerate Park Tower di via Crescenzago fa segnare un utile di oltre 11 milioni di euro. E questo nonostante il progetto sia oggetto di un processo che comincerà il 12 novembre. La decisione di rinviare a giudizio sei persone (Bezziccheri, tre ex dirigenti e funzionari dello Sportello Unico Edilizia del Comune e il rappresentante legale di un’altra azienda coinvolta) è dello scorso luglio, mentre il conto economico fa riferimento al 2024, quando si è «conclusa la commercializzazione» di 120 appartamenti sparsi tra le due torri e un terzo edificio adiacente. C’entra, in questo cospicuo utile, anche il fatto (provvidenziale per i costruttori) che sin qui nessuna delle banche coinvolte abbia deciso di esercitare il proprio diritto di recesso, generalmente previsto nei contratti nell’eventualità che le cose si mettano male. Come in effetti sta avvenendo.
L’AFFARE delle Park Tower, comunque, era finito al centro di un’indagine della procura già nel 2023 e anche se allora la gip Daniela Cardamone stabilì che non c’era necessità di sequestrare i cantieri, accolse gran parte delle tesi degli inquirenti, e cioè che era stata vanificata «la potestà pubblica di programmazione territoriale a vantaggio di interessi privatistici». La Corte dei conti, poi, ha già contestato allo sportello edilizia del comune un danno da 300mila euro. È a questo punto che si inserisce la tesi di Bluestone, preoccupata dai comprensibili malumori degli acquirenti: fra il comune e i pm c’è un’evidente «diversa interpretazione delle norme urbanistiche» ma non bisogna dimenticare che «le forze politiche nazionali» hanno presentato il «Salva Milano, approvato alla Camera il 21 novembre 2024 e ancora oggi all’esame del Senato». Un modo ottimistico di mettere le cose, dal momento che il disegno di legge che in un colpo solo sanerebbe tutti o quasi gli abusi è fermo dalla scorsa primavera, in virtù della decisione della procura di accorpare otto diverse indagini in un unico fascicolo per «connessione probatoria» e di effettuare arresti per l’accusa di corruzione.
DA QUI il passo agli arresti di luglio è stato breve, anche se forse – arrivando a ipotizzare l’esistenza di un sistema il cui obiettivo sarebbe la devastazione della città e lo sventramento della «democrazia urbanistica» – i magistrati potrebbero aver alzato troppo il tiro: se infatti l’esistenza di un sistema è fuori di dubbio, la sussistenza della corruzione non è affatto acclarata. Non ci sono mazzette, non sono state trovate tangenti, ma consulenze regolarmente fatturate tra aziende edili e architetti della Commissione paesaggio. Sin qui chi indaga non ha peraltro scoperto connessioni dirette tra il passaggio di denaro e l’approvazione delle pratiche, limitandosi a fare osservazioni di tipo cronologico: prima è arrivata la consulenza pagata e poi c’è stato l’ok ai progetti. Ma non sempre e comunque bisogna stabilire un nesso tra i due eventi che vada oltre il semplice calendario. Il tribunale del riesame, peraltro, nell’annullare tutti e sei gli arresti richiesti dai pm e in un primo tempo convalidati dal gip, ha derubricato per alcuni degli indagati l’accusa più pesante: non si parla più di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, ma di corruzione semplice. Non è un dettaglio di poco conto perché significa che le pratiche approvate non erano di per sé illecite e tutto resta dunque appeso al passaggio di denaro, la cui illegalità è tutta da provare.
IN FONDO restano gli acquirenti: secondo le stime ci sono 1.600 persone che hanno comprato casa negli edifici sotto inchiesta, versando anticipi e caparre varie, salvo poi scoprire (talvolta dai giornali) che c’era un’indagine e che dunque i lavori si erano fermati. Cosa succederà? Ci sono comitati che periodicamente cercano di far emergere le storie di chi ha speso molto e rischia di non avere nulla in cambio, ma ancora nessuno ha intrapreso vere e proprie iniziative per farsi risarcire. La speranza è che prima o poi vada in porto il «Salva Milano» (che alcuni chiamano «Salva famiglie»), e questo obiettivo alla fine sembra mettere d’accordo tutti: gli imprenditori, i funzionari del comune, i politici e anche gli acquirenti. Ciascuno con le proprie motivazioni e i propri interessi, ma tutti dalla stessa parte.
Il groviglio va evidentemente al di là delle faccende di tribunale. La posta in gioco è il futuro di Milano.